Il regista e sceneggiatore Dan Fogelman, già autore di Galavant, nel 2016 insieme alla 20th Century Fox Television propone a pubblico e critica This Is Us: la serie televisiva che racconta, mediante due linee temporali, la vita della famiglia Pearson.
Il dramma corale scritto da Dan Fogelman ha conseguito un ottimo successo di critica, ma quali caratteristiche determinano This Is Us come un prodotto televisivo tanto elogiato?
Iniziamo a descrivere la scelta di inserire a livello registico due momenti temporali ben separati, dove gli anni 80 rappresentano l’inizio e la crescita della famiglia Pearson, mentre la contemporaneità ci mostra il punto di arrivo. Lo scenario del passato si focalizza sull’infanzia dei personaggi e sull’educazione familiare ricevuta, mentre trentasei anni dopo ci viene mostrato il risultato del loro percorso sull’ambiente familiare e di come questo abbia determinato il loro futuro. In questo ambito è doveroso evidenziare l’importanza di un ottimo montaggio: difatti, gli eventi narrati nel passato e nel presente sono sempre molto chiari e si concatenano in maniera a dir poco limpida.
Molto lontana da altre serie televisive corali, come Orange is the new black e Shameless, This is us racconta i sentimenti dei personaggi con una lente colma di speranza: con tutti i loro difetti i personaggi possono infatti contare sull’amore per il prossimo, il quale salva il destino di ognuno di loro; il macrocosmo narrato sembra essere sottomesso ad una sorta di disegno superiore, un destino già prefissato che unisce ogni tassello, affinché il presente della famiglia sia difficile, ma il futuro sia invece radioso e ricco di possibilità.
Le prospettive future dei personaggi sono molto interessanti: esse ci ricordano che per ogni caduta c’è sempre una possibilità di ripartenza o di rivincita; appare infatti evidente come la famiglia Pearson cada di continuo, per poi rialzarsi sempre, come ci dimostra più volte Randall Pearson, uno dei personaggi migliori della serie.
Dalla scrittura scaturiscono diverse riflessioni, come quelle legate allo show business, in cui Kevin Pearson ricorda una versione notevolmente più sobria e meno problematica di Bojack Horseman.
In definitiva il ritratto dei personaggi è molto interessante, in special modo quando le difficoltà sono poste in primo piano; l’ideale forzato del sogno americano e il politically correct che si avvertono un po’ per tutta la produzione purtroppo, rovinano un po’ la resa complessiva dell’opera.
Insieme ai difetti della serie televisiva è doveroso però evidenziarne i pregi: in primo luogo infatti questa vede un cast di attori che svolgono perfettamente il loro lavoro recitando a dir poco egregiamente, e rendendo quasi tangibile anche agli spettatori il lavoro intenso svolto per ricreare in maniera impeccabile la maturazione dei personaggi dalla nascita alla consacrazione.
In conclusione, appare anche come la messa in scena sia sempre concentrata sui volti dei personaggi, i quali sono sempre fotografati con una luce calda, anche nei momenti di dolore; anche la scrittura non è da meno, e allineandosi con il resto delle scelte artistiche descrive minuziosamente un’America a volte molto divisa e piena di pregiudizi senza alcuna edulcorazione, ma con coscienza e senza eccessiva crudezza.