Quando cade un Angelo, non si sa se a soffrire di più sia Dio o tutti quelli che a quell’angelo ci credevano.
Era il 2011 quando Ignition Games ci aveva regalato quella perla che era El Shaddai: Ascension of the Metatron (Ok, forse ci avevamo giocato in quattro, ma perla rimane) e oggi, a sette anni di distanza, è Kadokawa Games a prendere le redini di un progetto che si mostra ora più grande che mai. Con la collaborazione del maestro Takeyasu Sawaki, creativo dietro ad entrambi i titoli, The Lost Child è chiamato a rinnovare l’universo narrativo a cui tutti e due i giochi appartengono, e a brillare di luce propria come erede spirituale del visionario El Shaddai.
O forse no?
La storia narrata in questo nuovo capitolo è uno dei primi tra gli elementi che prendono le distanze da El Shaddai: ad aprire l’esperienza è un filmato dove l’ormai noto Lucifel, primo angelo al servizio di Dio e nostra vecchia conoscenza, sempre con la sua sobria camicina nera di tre taglie più piccola, ci prepara in maniera criptica alla la tempesta che si profila all’orizzonte. Nel gioco vestiremo i panni di Hayato, un giovane giornalista che scrive per una rivista sull’occulto, il LOST Magazine: dopo aver incontrato l’eccentrica Lua, un angelo disceso direttamente dal paradiso, scopriremo di essere nientemeno che i prescelti da Dio per difendere l’umanità dalla minaccia di un’alleanza di divinità del male e angeli caduti. Per riuscire in questo non semplice compito Lua ci farà dono dell’arma angelica Gangour, capace di sconfiggere e catturare al suo interno sia demoni che angeli, e si impegna ad accompagnarci in un viaggio intrapreso prima da sua sorella scomparsa Balucia, nel quale, anche davanti ai concetti canonici di Paradiso e Inferno, i contorni di bene e male assoluto sono ben sottili e confusi. Hayato dovrà farsi perciò strada in un Giappone molto diverso da quello che siamo abituati a vedere, e scoprendo segreti ed entità fino a ieri sconosciute anche per un giornalista dell’occulto, compiere una titanica scelta: servire con Fede un Dio che non sembra affatto onnipotente e infallibile oppure seguire coloro che l’hanno tradito, mossi da desideri misteriosi e un obiettivo superiore tutto da scoprire?
Grazie ai frequenti dialoghi con Lua o con altri personaggi e una narrazione che strizza quasi l’occhio alla Visual Novel, la storia di The Lost Child può snodarsi in maniera più pulita e diretta rispetto al suo predecessore del 2011, che vedeva un apparato molto più criptico. Nonostante ci siano un paio di appunti da fare (e che faremo dopo), la vicenda scorre liscia, fruibile ed intrigante, offrendo anche diversi spunti di riflessione tra citazioni alla Bibbia e direttamente ad El Shaddai.
Altro elemento che segna l’apertura di una vera e propria voragine tra ES e TLC è il gameplay: abbiamo a che fare ora con quello che è a tutti gli effetti un dungeon crawler che ci lancia in intricati labirinti e ci sfida a uscirne, venendo a capo degli enigmi che incontreremo e completando le battaglie in cui ci imbatteremo. All’interno di questi dungeon potremo muoverci solo nelle quattro principali direzioni grazie ad un (limitante) sistema a caselle, e man mano che scenderemo in profondità verso i boss finali, avremo la possibilità di gestire l’altra importantissima meccanica presente nel titolo: la cattura degli Astrals. Proprio come fossero dei veri e propri Pokemon, Hayato sarà chiamato a imbracciare la Gangour per intrappolare demoni ed angeli caduti all’interno della pistola e “purificarli” per poterli successivamente utilizzare in battaglia contro i nemici del Paradiso e non solo. Ogni Astral ha un elemento tra cinque complementari, può evolversi in tre diversi stadi utilizzando il corretto catalizzatore e possiede delle statistiche precise che lo caratterizzano come adeguato a svolgere diversi compiti sul campo, come dps fisico, dps magico, tank o supporto: starà al giocatore costruire una propria squadra di pokem- pardon Astrals per battere i superquattr-ehm intendevo i quattro demoni che stanno attentando alle fondamenta del mondo.
Le battaglie, dal canto loro, sono caratterizzate da un gameplay canonico di combattimento a turni che sfiderà il giocatore ad adottare la strategia migliore per fronteggiare gli avversari, bilanciando gli attacchi e le abilità degli Astrals per colpire sempre al momento giusto nel punto dove fa più male: si tratta alla resa dei conti di un comparto ben strutturato, per quanto fin troppo tradizionale, e comunque capace di divertire grandemente grazie alle sue prove e al piacere che ancora può provocare l’allenare una squadra di famigli. Pokemon. Digimon. Yo-kai. Si insomma quella roba li.
Presente e gradita è d’altra parte la presenza di un dungeon di 100 piani (che si chiama R’lyeh come la città fittizia del racconto Lovecraftiano The Call of Chtulu MA VA BEH) dove non solo i giocatori troveranno una sfida maggiore nel risolvere gli enigmi e battere i mostri, ma potranno anche registrare online la squadra di Astrals che hanno in quel momento, e sfidare i team che gli altri giocatori hanno a loro volta registrato, mossi dall’IA del gioco.
I personaggi con cui ci troveremo a che fare durante la nostra avventura sono solo in parte interessanti. Abbiamo infatti da una parte una cura particolare nel caratterizzare Lua e qualche altra figura, che si trovano di fatto così a reggere completamente il comparto narrativo grazie al loro “fascino”, mentre ci troviamo ad avere a che fare con un Hayato che, nonostante le possibilità di risposta multipla durante qualche dialogo, risulta assai insipido per gran parte del gioco, più simile ad una marionetta sbatacchiata qua e la dal corso degli eventi che al protagonista di una storia come questa.
La cosa che mi ha fatto storcere il naso più di tutte però, è la contaminazione dell’universo narrativo di El Shaddai da parte di quello che dovrebbe essere il suo erede con elementi onestamente pacchiani, e che nulla possono aggiungere, se non la sensazione di aver fatto su un minestrone con dolce e salato.
Mi spiego: Nonostante il piglio non fosse certo canonico, El Shaddai proponeva una storia e dei personaggi basati su libri apocrifi della Bibbia, e anche calibrata la presenza di figure richiamanti le divinità Babilonesi (Ishtar su tutte), il comparto narrativo era settato in maniera coerente sulla mitologia ebraica presente nell’Antico Testamento, il Libro di Enoch e quello di…
In The Lost Child tutta questa coerenza va a farsi totalmente benedire (hohoho). Se da una parte Enoch stesso, protagonista di El Shaddai, si ritrova qui per mio grande orrore ad essere nulla di più di un Astral da utilizzare in combattimento, come una pedina di trascurabile conto, dall’altra, più importante, la mitologia ebraica che aveva caratterizzato le fondamenta della narrazione finora si fonde in maniera confusa con quella egizia e con la cosmologia Lovecraftiana, totalmente a caso. Trovo infatti un po’ cringe (più del solito) che il Dio dell’Antico Testamento si trovi contrapposto qui da Cthulhu, Nyarlathotep e compagnia tentacolosa.
Trovo fuori luogo che ad un bel momento Ra, Thot, Tefnut e il resto della gang del pantheon egizio vogliano dire la loro.
Trovo inspiegabile che Michael e gli angeli caduti siano dei personaggi importanti ai fini della storia, mentre figure importanti nel panorama dell’occulto biblico come Baphomet, Il Leviatano e i Nephilim (questi ultimi fondamentali nella storia di El Shaddai) siano relegati qui solamente ad essere delle pedine per i combattimenti a turno.
Per ultimo, ma forse qui esagero, trovo terribilmente pacchiano inserire tra gli Astrals un ANGELO CADUTO che si chiama ALEISTER CROWLEY.
L’unica spiegazione a questo sfacelo è che semplicemente nel processo di creazione di un personaggio per una storia che doveva essere ispirata, è stata definita prima la figura di questo, e solo successivamente gli è stato appioppato un nome preso a caso da un’immaginaria scatola che reca con se l’etichetta “cose evocative”.
In una parola: Superficialità.
Per quanto riguarda il comparto grafico, The Lost Child mette in campo un apparato che semplicemente fa il suo compitino all’interno del panorama dei Dungeon Crawler, immemore della magnificenza che era stato in grado di portare il suo predecessore spirituale. A fronte infatti delle lunghe scene di dialogo in stile visual novel che presentano dei personaggi ottimamente disegnati in stile Anime, delle stesse splash art degli Astral che risultano comunque creativi e alcune (rare) scene animate sparse per l’avventura che evidenziano la buona qualità a cui Kadogawa ci ha comunque abituato, l’80% della nostra esperienza lo passeremo a camminare per i corridoi bui e spogli dei dungeon, ognuno caratterizzato da un filtro di luce particolare. Non c’è bisogno di nessuna ricercatezza artistica in questa sezione di comparto perché semplicemente non c’è spazio: gli asset per gli oggetti e le ambientazioni sono spesso riciclati con solo un recolor, e il colpo d’occhio offre un panorama poco definito e grossolano, tipico delle produzioni giapponesi che hanno spesso concentrato pochissima cura in questo genere di cose.
La domanda che continuo a farmi da qualche settimana a questa parte è comunque questa “The Lost Child è davvero l’erede spirituale di El Shaddai?”
Non può essere sufficiente inserire nel filmato iniziale l’immagine di un ombrello che richiama un simpatico siparietto con protagonista Lucifel in Ascension of the Metatron: I punti di stacco sono enormi ed evidenti, e se non fosse per i personaggi (nemmeno tutti) e parte dell’universo narrativo, i due titoli non avrebbero assolutamente niente da spartire.
Non ho in questo momento gli elementi per indagare il perché questo cambio di rotta sia stato compiuto, perché si sia abbandonato l’action game per il dungeon crawler, che comunque presenta un gameplay molto più strutturato sebbene appartenente ad un genere del tutto diverso, ma non credo nemmeno abbia importanza. The Lost Child altro non fa che citare El Shaddai. Riprendere di fatto due personaggi (Dio e Lucifel) e inserirli in una storia che non è né sequel né prequel a quella del predecessore. Se basta questo per essere “successore spirituale” di qualcosa ditemelo voi, per quello che mi riguarda credo che per succedere spiritualmente si debba mantenere appunto lo spirito di chi viene succeduto, e non sono sicuro che sia questo il caso.
Ricapitolando l’involontario mattone e giungendo alla sua conclusione, possiamo dire che nonostante non riesca del tutto ad accogliere The Lost Child come erede di El Shaddai, il titolo va comunque valutato come singolo, pur inserito in contesto più ampio. Il comparto artistico, pur essendo adeguato al tipo di gioco, non riesce a incidere sul colpo d’occhio nelle parti esplorative mentre qualcosa in più riesce a farlo durante i dialoghi. Il gameplay è uno dei punti di forza del progetto , e nonostante l’iniziale diffidenza che provoca a chi cercava Ascension of The Metatron in questo prodotto, riesce comunque abbastanza in fretta ad imporsi come coinvolgente e divertente grazie alle sue varie sfaccettature di dungeon crawler, visual novel e GDR. La storia narrata, infine, porta sulle sue spalle il pesante fardello di avere come vertice alcune figure di El Shaddai e non riuscire a integrarle in maniera coerente. A fronte però di qualche trashata grossolana e qualche citazione o contaminazione onestamente fuori luogo, anche le vicende narrate, superato lo scoglio iniziale, riescono a risultare interessanti e ad intrigare il giocatore.
The Lost Child, alla prova dei fatti, è l’incarnazione della caduta degli Angeli, la delusione di una Nietzcheiana morte di Dio che prende forma.
Ad un primo sguardo il titolo ci fa una doccia gelata con una cascata di disappunto e indignazione, ma una volta sollevati da questa impura lavanda ci troviamo davanti a qualcosa che non ci aspettavamo, qualcosa che nasce da ciò che conoscevamo ma che si trasfigura qui davanti a noi.
Nessuno forse voleva questo cambiamento, o sentiva il bisogno di rinnovare la natura delle proprie esperienze, ma se è vero che il trono di Dio non può restare vuoto, oggi ci troviamo davanti alla morte di un Lord e l’ascesa di un altro.
Diceva Giobbe in 1-21: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore.”
*Versione testata: PlayStation 4, grazie ad un codice fornito da NIS America