Che avrebbe suscitato qualche polemica, forse Andrea De Sica se lo immaginava, un po’ meno noi di ritrovarci a guardare un collage di stereotipi e situazione trite e ritrite. Ma andiamo con ordine.
Netflix, in questi anni ci ha abituato a giocare pesantemente d’azzardo nell’ambito della produzione. Si scommette su giovani registi e i loro progetti, si finanziano attori a volte talentuosi, altre tragicomici, e si aspetta che il pubblico determini l’esito della manche. Se è andata bene, si lavora ancora insieme. Viceversa, le perdite sono esigue. Baby è l’ultimo azzardo della casa americana e, nei prossimi mesi, scopriremo se si tratti di una grande intuizione o un pessimo bluff.
Anni fa veniva scoperchiato il vaso di Pandora della prostituzione minorile all’interno delle scuole, specie negli istituti più facoltosi. Baby ci porta dentro quel mondo e le sue stanze. Non si vuole porre, tuttavia, l’accento sulla gravità dei fatti o sulle loro dinamiche, come fatto in passato da Melissa P. o Giovane E Bella, ma la narrazione segue la domanda: “Cosa si fa per sentirsi grande?”.
Sentirsi grande, non esserlo. Questo è il grande bluff. Perché dietro sesso, droga e locali, si nascondono lo scarico di responsabilità, il rifiuto di affrontare la realtà e una scellerata impulsività. Questa domanda e questa sottile sfumatura tra i due verbi, riesce a creare uno schizzo originale e intrigante di una vicenda dove i telegiornali e la cronaca hanno già svelato ogni dettaglio.
Peccato che ad un certo punto l’autore decida di cambiare rotta per non correre alcun rischio. La nave di Baby viene riportata a navigare nelle tranquille acque di personaggi stereotipati e di situazioni imbarazzanti per quanto convenzionali. I personaggi non hanno una crescita né uno sviluppo, rimanendo prigionieri dei loro stereotipi. Il ragazzo di quartiere che va a vivere dal padre ricco e non riesce, e non se ne cura, a integrarsi nella nuova scuola. La ragazza tranquilla con una famiglia spaccata alle spalle. L’amica esuberante e un po’ fuori di testa che deve occuparsi della madre divorziata. I genitori che non riescono ad instaurare un dialogo con i propri figli, usando la ricchezza come panacea a ogni problema.
Al di là di una recitazione che non riesce ad emergere e qualche errore di montaggio, il vero grande errore è il messaggio che lancia la serie. Confuso e che si presta a decisamente a troppe interpretazioni. Il regista condanna questi atteggiamenti o li esalta al grido di Girls Just Wanna Have Fun di Cyndi Lauper? La risposta non è così scontata come si crede.
Facendo un piccolo confronto con le opere precedentemente citate, in Melissa P, veniva per la prima volta denunciata la falsità e l’abuso dei sentimenti tra le mura scolastiche. Il sesso era la reazione alla mancanza di amore e questo veniva denunciato con grande mano ferma da Melissa Panarello, nel suo libro 100 Colpi Spazzola Prima Di Dormire. Giovane E bella narra le stesse vicende di Baby, senza però perdersi in storie secondarie. L’attrice viene seguita in classe, così come nelle prestigiose camere d’albergo in compagnia di uno sconosciuto e all’interno delle mura famigliari. Il focus era sulla dipendenza che questo tipo di vita suscitava. Nella forte attrazione che hanno borse e vestiti firmati sulle adolescenti. Su quanto il richiamo dei soldi sia più forte dei propri valori.
Baby si muove a tastoni in un piano intermedio tra i due filoni. A tastoni poiché non ci sono vere e proprie antitesi a certi comportamenti ed il taglio che viene dato è che sia semplicemente una “ragazzata”. Un innocente scelta sbagliata, motivata da quanto sia fico avere una vita segreta, indossare la maschera di un adulto solo quando se ne ha bisogno, per poi tornare bambini di fronte ai problemi e le responsabilità. Siamo, quindi, di fronte ad una triste fotografia della realtà o al più classico degli stereotipi adolescenziali?