Si potrebbe parlare per ore circa i punti di svolta che hanno trasformato il cinema ed i suoi generi dall’inizio della sua storia ad oggi. Tuttavia, negli anni 70’ e 80’ ci fu un genere che si affermò definitivamente: sua maestà “Il cinema di fantascienza”.
Nel 1977 infatti, “Star Wars”, successivamente rinominato “Star Wars: episodio IV – Una Nuova Speranza”, spianò definitivamente la strada al genere fantascientifico garantendo così non solo l’organizzazione di molti più progetti ad alto budget (si parla di milioni e milioni di dollari), ma anche la sperimentazione di tutta una serie di tecniche cinematografiche, per lo più digitali.
Tuttavia, gli animatronic, il costume ed il trucco rimasero centrali nella maggior parte delle produzioni, tant’è che quegli anni regalarono alla cultura popolare alcune tra le creature più iconiche della storia del cinema. Parliamo di capolavori come Alien (1979), The Thing (1982), ma soprattutto Predator, diretto da John McTiernan nel 1987, che sarà il cacciatore per eccellenza protagonista di questo speciale.
Nel 1987, dunque, la 20th Century Fox decise di produrre un film dedicato ad un “Hunter”, una creatura aliena fortemente predisposta alla caccia. Tuttavia, prima di vederlo come lo ricordiamo oggi, l’alieno viene inizialmente concepito per essere sì un umanoide, ma decisamente più umano nel volto, con pelle semitrasparente e vene verdi visibili. Come spesso accade però, l’aspetto cambiò con l’arrivo di nuovi bozzetti, trasformando Predator in un mutaforma incuriosito dalla razza umana più che dalla caccia in sé, ma si decise di utilizzare questo scenario per l’adattamento a romanzo dello script. Il primissimo esperimento sul costume, infine, portò alla realizzazione di un insettoide, successivamente scartato a causa della sua scarsa funzionalità non solo dal punto di vista dell’attore che avrebbe dovuto indossarlo, ma anche per la scarsa adattabilità all’ambiente in cui sarebbe andato in scena.
Piccola curiosità: inizialmente Jean-Claude Van Damme avrebbe dovuto essere l’attore dentro al costume, ma per controversie della gestione dell’immagine e nell’aspetto ricercato, fu poi sostituito da Kevin Peter Hall.
Chiaramente in quegli anni non si poteva fare assoluto affidamento alla CGI per correggere eventuali errori, dimenticanze o inefficienze, perché era un cantiere apertissimo e non sempre le opportunità garantite pareggiavano l’efficacia di un costume o di un animatronic (come il T-Rex del primo iconico “Jurassic Park”), senza considerare il costo economico delle varie soluzioni. Subentrò, a quel punto, Stan Winston (già famoso grazie all’incredibile lavoro sul cyborg di “Terminator”) per cercare una forma adatta al film e alla sua creatura. Nacque un umanoide particolarmente ben piazzato fisicamente, con mandibole da insetto ed un altrettanto caratteristico sangue fluorescente verde, senza considerare il suo iconico verso gracchiante.
Ma il nome della razza aliena, “Yautja”, venne coniato per la prima volta solamente nel romanzo di Steve Perry “Alien vs Predator: Prey” (1994), per poi essere riutilizzato anche nel videogioco “AVP: Evolution” (2013). Ulteriori approfondimenti sulla razza aliena vennero esplicitati nel seguito, Predator 2, in cui si spiegò che il Predator ha origini antichissime e che la sua società è caratterizzata da comportamenti di caccia e di onori ad essa legati, le cui strutture sono fortemente ispirate alla cultura Maya ed Azteca.
“Maggiore, so soltanto una cosa: che gli ho tirato addosso 20 caricatori dell’M60. Li ho vuotati. Niente di questa Terra sarebbe sopravvissuto… a quella distanza.” La celebre frase del sergente Mac fa capire che lo Yautja non solo è particolarmente forte e resistente, ma anche incredibilmente intelligente, a tal punto da esser dotato di una tecnologia esageratamente avanzata se messa a confronto con ciò che i soldati potessero utilizzare. Può diventare invisibile e la sua dotazione vede, tra le altre, lance telescopiche, balestre, lame anche retrattili, cannoni al plasma, ma soprattutto una maschera che fornisce vari metodi visivi, incluso l’infrarosso dello spettro elettromagnetico e l’ultravioletto, come se il suo aspetto non fosse già abbastanza spaventoso. L’insieme di questi elementi generò un successo incredibile tale per cui ad oggi contiamo un numero molto elevato di sequel e cross-over, senza considerare videogiochi e fumetti. Dal 1987 tuttavia, per le loro successive apparizioni, gli Yautja subirono numerose modifiche estetiche. Come ad esempio nel sequel, Predator 2, in cui l’alieno apparve più aggressivo visivamente, con tatuaggi tribali sulla fronte, pelle di colore più intenso e decisamente molte più zanne. Il percorso evolutivo nel corso dei film è del tutto logico, fu necessario per la crescita del franchise.
La curiosità e la voglia di approfondimento nei confronti di un essere vivente dal potenziale cinematografico enorme furono caratterizzati però anche da alcuni insuccessi, che comunque non compromisero l’ingresso nell’olimpo delle icone del genere.
Un punto di svolta alla saga fu dato senza alcun dubbio dal film cross-over che tutti volevano: “Alien vs Predator”, l’arena di scontro che avrebbe dovuto determinare una volta per tutte quale fosse l’alieno più forte tra i due. La saga cross-over produsse 2 film prima di riportare l’attenzione dei film al solo Predator. L’ultima apparizione cinematografica risale al 2018, con un film che mostra un ulteriore sviluppo, anche estetico, dell’alieno, che appare ora decisamente più grosso, più agile e più intelligente, creazione ad hoc da parte della stessa razza degli Yautja.
Inutile rimarcare quanto Predator abbia per anni incarnato l’esempio del cacciatore perfetto, silenzioso e letale, diventando non solo un’icona, ma anche un preciso e importante punto di riferimento. Piuttosto c’è da chiedersi: esisterà mai un altro “mostro sacro” della fantascienza in grado di pareggiare la fama di Predator?