Questo periodo di quarantena ci ha mostrato un’Italia che non ci aspettavamo. Un’Italia che canta dai balconi, che promuove una socialità alternativa, che riscopre la gioia del donare, lasciando scatole in giro per la città piene di cibi a lunga conservazione per chi non può permetterseli.
Insomma, stiamo avendo tanti input di buoni sentimenti tutto attorno a noi, come mai prima d’ora
E allora eccovi un fumetto per tutti voi stanchi dei buoni propositi degli altri, stanchi di vedere i propri contatti social iniziare e mantenere delle routine quotidiane all’insegna del benessere psicofisico, ma anche di voi stanchi pure degli urlatori seriali, promulgatori del verbo “state a casa!” o di coloro che condividono fake news alimentando teorie complottiste.
Un fumetto per voi che dell’umanità in questo periodo, pur stando a casa, non ne potete proprio più.
Direttamente dalla fine degli anni ’80
Sapevate che venne chiesto a Frank Miller di occuparsi delle sceneggiature dei due sequel di RoboCop?
Pareva essere lo scrittore giusto, in grado di declinare al meglio le tematiche clue che nella prima opera di Verhoeven venivano a malapena scalfite ed accennate. Dopotutto era pane per i suoi denti: si parlava di una società disillusa, incattivita, sempre cruda e volgare. Una società del più forte, che riveste tutti i più biechi comportamenti istintivi ed animaleschi con un sottilissimo velo di politicamente corretto, nel tentativo disperato di attanagliare e soggiogare la popolazione e continuare a sfruttarla come un semplice ingranaggio dell’apparato consumistico.
E così Miller le scrisse entrambe.
Purtroppo non vennero mai rielaborate dall’industria cinematografica per come le scrisse, ma solo rimaneggiate fino a renderle irriconoscibili, al punto da lasciare il suo nome solo nei titoli di coda del terzo capitolo.
Ma solo all’inizio degli anni 2000, Steven Grant riesce a riportare le sceneggiature in vita, tramite Avatar Press con l’aiuto dei disegnatori Juan José Ryp e Korkut Öztekin.
Le storie contenute nell’albo
Più semplicemente il primo film di RoboCop e le due sceneggiature successive di Miller sono pensate in un modo organico per andare a creare un vero e proprio arco narrativo sulla vita e l’evoluzione di Alex Murphy e della società intera attorno a lui. Un romanzo di formazione di un eroe anticonvenzionale che non potremmo comunque definire antieroe.
Nella prima storia, la moralità e la rettitudine di Alex Murphy sono sopravvissute alla sua transizione in robot, creando un malcontento all’interno dalla OCP. RoboCop viene dunque affidato alla dottoressa Love, la quale lo sottopone a diversi elettroshocks per resettarlo ed ammansirlo, rendendolo a malapena un simbolo ambulante della lotta al crimine di Detroit. Simbolo poi che poco si adatta alla reale situazione in cui vertono i dipartimenti di polizia, soppiantati da milizie private e senza scrupoli. Nel frattempo la OCP conduce sperimentazioni sui suoi dipendenti nella speranza di rimpiazzare RoboCop con qualcuno che abbia una moralità più debole della sua.
Nella seconda storia, quella che chiude la trilogia invece, troviamo degli elementi inattesi, soprattutto nelle battute finali, che sovvertono totalmente quel che abbiamo visto o immaginato di RoboCop fino a poco prima del termine del volume.
Rimandi alla cabala e alla mitologia cattolica permeano tutta la fine dell’arco di RoboCop, lasciandoci a bocca aperta per questa improvvisa ed inaspettata impennata stilistica e narrativa. Forse le riflessioni milleriane sul rapporto tra divino ed umano sono il punto più alto dell’intera saga, forse anche l’unico punto in grado di giustificare tutto il percorso attraverso il trash, il politicamente scorretto, la grettezza, la violenza e l’ipersessualizzazione in cui il lettore viene gettato.
Un’opera come molte altre
Nonostante il finale sorprendente e anche piuttosto soddisfacente, la storia è pressoché inesistente. Quello che troveremo per la maggior parte del tempo sono spari ed esplosioni, in tipico stile anni ’80.
I disegni distinguono nettamente le due sceneggiature ed è proprio in quella disegnata da Juan José Ryp, ossia RoboCop 2, che ritroviamo uno stile più pesante e ricco di dettagli, al limite dell’oppressivo e del maniacale, accompagnando perfettamente il momento più basso e volgare dell’arco narrativo di RoboCop.
Lo stile di Korkut Öztekin è più morbido e pastoso, quasi. Meno dettagli e buona padronanza di scene e dinamicità all’interno di esse. Sicuramente azzeccato per la conclusione speranzosa ed esoterica della saga.
Permane l’idea di un prodotto standard e poco soddisfacente, forse proprio a causa della trasposizione in fumetto di una sceneggiatura in realtà pensata per il grande schermo. Probabilmente una collaborazione tra Miller e Verhoeven ci avrebbe regalato un altro prodotto ancora rispetto a quello che ci ritroviamo in mano oggi.
Nota di merito va indubbiamente alla cura editoriale di saldaPress, la quale rende l’opera degna di qualsiasi collezione, anche solo come promemoria della tormentata storia di RoboCop e la sua introduzione alla cultura pop.