Star Comics ha portato in Italia “Shirayuki dai Capelli Rossi” (Akagami no Shirayuki-hime), un manga shōjo di Sorata Akiduki che, appena aperto, mi ha riportata bruscamente alla mia adolescenza.
Informandomi, ho scoperto che il manga in questione è stato pubblicato per la prima volta in Giappone nel 2006. Capite? Nel 2006. Per chiarire il periodo di cui stiamo parlando, quando Shirayuki dai Capelli Rossi ha cominciato ad essere pubblicato in Giappone, noi, in Italia, finivamo la pubblicazione di Le situazione di Lui & Lei, ancora non avevamo nemmeno pubblicato il primo numero di Death Note e MTV trasmetteva tra gli altri Nana, Aquarion, Abenobashi e Beck Mongolian Chop Squad.
Eppure Shirayuki è un manga che ha anche ricevuto un adattamento televisivo nel 2015 da parte dello studio Bones, che conoscerete per Wolf’s Rain, Fullmetal Alchemist o My Hero Academia. Ma anche questo non è bastato a far decidere gli editori a tradurlo e rivenderlo nel nostro paese. Ora, dopo ben cinque anni dal termine dell’anime in Giappone, ha finalmente inizio la pubblicazione del manga in Italia.
Qual è stata la discriminante che l’ha portato a noi proprio ora? Non lo sappiamo, ma in questa recensione analizzeremo piuttosto che cosa significhi importare oggi in Italia un manga del 2006.
Principessa? No, grazie.
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Shirayuki vuol dire letteralmente Biancaneve, ma non aspettatevi di leggere la trasposizione manga della fiaba canonica. La particolarità di questa “Biancaneve” è quella di essere l’unica ad avere i capelli rossi nel suo mondo e ciò la rende l’oggetto del desiderio di molti, tra cui il principe del Regno di Tanbarun, Raji, conosciuto come il Principe Idiota.
Quando Raji manda delle sue guardie a proporle di diventare la sua concubina, Shirayuki, per tutta risposta, si taglia i capelli e li lascia nella sua abitazione insieme a una lettera in cui afferma che da quel momento in poi il principe si sarebbe potuto tenere ciò che tanto bramava. Scappa da Tanbarun, andando fino al vicino regno di Clarines, dove avviene l’incontro-scontro con Zen e i suoi amici Kiki e Mitsuhide. Se a primo acchitto Zen sembra il tipico teppista tsundere, si scoprirà quasi immediatamente che in realtà è il principe secondogenito di Clarines.
Arrivati a questo punto della trama, ammetto di aver temuto che il momento di più alta libertà della nostra cara Shirayuki fosse quello – in qualità di donzella in difficoltà – di decidere semplicemente di farsi “salvare” da un’altra persona, la prima capitatale a tiro vagamente più carismatica rispetto alla media. Sarebbe stato piuttosto deludente.
Invece Shirayuki dimostra continuamente di non essere la principessa da salvare, anzi, durante le molteplici piccole sfide quotidiane e non, più di una volta la giovane prende in mano la situazione, gestendola in autonomia o coordinando altre persone.
Quella che si sviluppa tra lei e il principe, poi, è un’amicizia profonda e piena di rispetto, in barba al tipico colpo di fulmine – anche se ovviamente la trama lascia intendere un futuro interessamento romantico, altrimenti non si tratterebbe di uno shōjo – e per poter stare al fianco del proprio amico senza disonorarlo o metterlo in una posizione scomoda, per poter quindi accedere in via ufficiale alla tenuta della famiglia reale, Shirayuki decide di perseguire un obiettivo specifico: diventare l’erborista di corte.
Tra piccoli intrighi politici, studio, esami per diventare erborista e cose quotidiane, si susseguono una serie di piccole problematiche e conflitti fatti per risolversi nel giro di poche pagine, il tutto per mandare avanti il rapporto tra Shirayuki e Zen. Niente che non ci aspetteremmo da un manga di stampo shōjo, come già detto.
Il 2006 è ovunque.
Nello stile del disegno ho ritrovato molti manga della mia adolescenza. Forse Shirayuki dai Capelli Rossi si presenta un po’ più semplicistico su alcuni tratti, ma anche più dettagliato su altri. Comunque niente di sconvolgentemente distante dallo stile dei primi anni Duemila. Ciò che avrebbe potuto renderlo distante invece dai fumetti di allora, sia i manga importati che quelli prodotti nel nostro paese, sono le tematiche.
Ci siamo abituati a sentir parlare di femminismo, di patriarcato, di diritti delle donne o, più recentemente, di considerazioni sulla consensualità o meno di Biancaneve, ma nel 2006 il fatto che la protagonista di una rivisitazione della fiaba di Biancaneve dicesse “no” al principe di turno, si tagliasse i capelli e perseguisse il suo obiettivo di diventare erborista non era così scontato.
Ricontestualizziamo il manga, allora.
Un paio di accenni alla storia e all’attualità.
La terza grande ondata di femminismo si colloca dai primi anni ’90 fino al 2000. Questa porta con sé per la prima volta i movimenti che riguardando i diritti della comunità LGBT e altre minoranze. Il 2006 è un picco bassissimo nel discorso globale delle pari opportunità, basti pensare che i movimenti che poi hanno dato inizio alla quarta ondata gravitano attorno al 2010 o poco prima.
Ecco alcuni esempi: le FEMEN, le attiviste ucraine famose per manifestare mostrando i seni, sono nate solo nel 2008, la campagna HeForShe, presentata alle Nazioni Unite da Emma Watson, ha avuto inizio nel 2014 e il movimento MeToo addirittura solo nel 2017, stesso anno in cui andava in onda per la prima volta Handmaid’s Tale, la serie televisiva riadattamento di un romanzo distopico di Margaret Atwood, uscito invece già nel 1985.
Per quanto siano sdoganate le tematiche di cui parlavamo prima, al momento della recensione, il portale italiano di Wikipedia non contiene una pagina dedicata al movimento Ni Una Menos, partito nel 2015 e importato in Italia nel 2017. Per farvi capire l’importanza del movimento, Non Una Di Meno (traduzione letterale dallo spagnolo) è lo stesso movimento che portò delle attiviste vestite da ancelle (riprendendo l’iconico vestito rosso di Handmaid’s Tale) all’interno del consiglio comunale di Verona, mentre veniva approvata la mozione contro l’aborto nel 2018.
Quei quindici anni si sentono tutti.
Ora che abbiamo finito di comprendere da quale periodo storico siamo usciti e quale stiamo ancora vivendo, possiamo capire quanto sia decontestualizzato e svalorizzato Shirayuki dai Capelli Rossi, il quale avrebbe potuto rappresentare l’inizio di un interessante dibattito in un anno buio e invece ce lo ritroviamo in tasca solo oggi.
Sicuramente per ritmo narrativo e tematiche, si tratta di un manga per preadolescenti e adolescenti e, proprio a causa di ciò, sarebbe stato meglio che questa storia la avesse la generazione per cui è stata pensata, ossia quella dei Millennials e non quella degli Zoomers, i quali invece sono molto più abituati, appunto, a sentir parlare di certe cose e da cui forse non trarranno con la stessa efficacia un messaggio che effettivamente è stato strutturato in maniera molto blanda, poiché introdotto nella narrazione con la timidezza dovuta al contesto ostile del 2006.
Conclusioni.
Nonostante io sia personalmente contro definizioni tipo “è un prodotto invecchiato male”, mi trovo a dover dire che Shirayuki dai Capelli Rossi rappresenta esattamente questo tipo di affermazione, e che quindi non può avere quel voto più alto che avrebbe invece meritato negli anni di pubblicazione originali.
Come shōjo fa il suo dovere. Una distrazione rilassante e divertente, costruita con un ritmo abbastanza rapido, tipico delle fiabe. Ma nulla di più.
*Recensione effettuata grazie ad una copia digitale ricevuta da Edizioni Star Comics