Peter Pan, La bella e la bestia, Once upon a time, Harry Potter, Matrix, la Bibbia, la mitologia, le leggende e tutto quello che può venirvi in mente del nostro patrimonio culturale e d’intrattenimento converge in Nomen Omen, la saga scritta da Marco B. Bucci e disegnata da Jacopo Camagni, edita da Panini Comics e addirittura importata negli USA da Image Comics.
In questa recensione non parleremo di una storia, ma di tutte. Soprattutto parleremo del loro equilibrio e dell’incastrarsi in un progetto ormai chiuso, che ora continua a vivere con il nome di Arcadia, il cui primo volume è stato pubblicato da Panini Comics alla fine dell’anno scorso.
Un’avventura, pura e semplice.
In una strada di montagna, una coppia di donne si ritrova davanti ad un incidente stradale. Cercando di capire se qualcuno fosse rimasto ferito, s’imbattono in una donna incinta in fin di vita, che presenta dei strani simboli su tutto il corpo. La donna è allo stremo delle forze. È chiaro ormai che per lei non c’è nulla da fare. Con le sue ultime forze, Naya, la donna incinta, passa la sua gravidanza ad una delle due donne, con quella che capiamo immediatamente essere una magia.
Flash forward. Passano ventun’anni ed eccoci al compleanno della giovane Rebecca Kumar, nella sua vita spensierata e normale. L’unico segno particolare di Rebecca è il fatto di essere affetta da acromatopsia, ossia l’incapacità, nel suo caso totale, di percepire qualsiasi colore. Ma ovviamente qualcosa sta per cambiare.
Nel bagno del ristorante in cui sta festeggiando con i suoi amici, si imbatte in uno sconosciuto incappucciato che rivela subito avere un’altra forma solo per poterle rubare il cuore dal petto, con un gesto che ricorda l’abilità speciale di Killua in Hunter × Hunter del rimuovere organi con precisione chirurgica.
Quando riprende i sensi, quello che le è capitato le pare appena un sogno. Una fantasia che l’ha distratta un po’ più del necessario. L’avvenimento non è affatto un sogno, ma un fatto realmente accaduto. Da lì, si entra nel vivo dell’azione. Degli individui appaiono per le strade di Manhattan, la città in cui si svolge la narrazione, combattendosi con poteri spaventosi ed altamente distruttivi. Nonostante ciò venga filmato, mandato in rete ed ottenga pure diverse centinaia di migliaia di visualizzazioni, i media non sembrano preoccuparsene, né le autorità. Ma presto gli amici di Becky e Becky stessa finiranno inevitabilmente coinvolti.
Il regno in cui vanno a finire i cuori.
Quindi le prime domande sono: il cuore di Becky è stato realmente rubato? Sì. E da chi? Re Taranis. E cosa se ne fa? Beh, questo è già un po’ più complicato.
Il nostro caro antagonista è nostalgico della sua terra natia, quella che era presente prima dell’avvento dell’essere umano e della sua soffocante società tecnologica, senza sogni e magia. Taranis si sente prigioniero, costretto a nascondersi con tutte le altre creature magiche, al fine di non essere braccato, studiato e ucciso.
Il piano di Taranis è semplice: acquisire certi cuori specifici affinché possa finalmente aprire le porte di Arcadia e farla risorgere nell’isola di Manhattan, riprendendosi così i suoi spazi. Nel farlo, non poteva immaginare di creare un heartless che gli avrebbe dato la caccia pur di riprendersi il suo cuore. Vi ricorda niente questa storia?
Where’s Wally?
Il riferimento a Kingdom Hearts ve l’ho dato io, ok. Ma non preoccupatevi, Nomen Omen è una sequela interminabile di citazioni. Tutti gli abitanti di Arcadia vengono da una qualche storia o leggenda. Già solo questo potrebbe farci pensare a Once upon a time, ma non è così. È qualcosa di più. È qualcosa di diverso. Non sono riferimenti che può cogliere il lettore, sono riferimenti e stop. Anche la nostra protagonista, Becky, è in bilico tra l’essere una millennial ed una zoomer e ha quindi l’età giusta e la cultura giusta per cogliere ma anche per fare una pletora di citazioni a film, videogiochi, libri e cartoni animati.
Da questo punto di vista, Nomen Omen offre un intrattenimento al di là dell’intrattenimento. Un gioco all’interno di una lettura piacevole e scorrevole. Ho avuto l’impressione che una storia di EFP avesse preso vita in un fumetto pubblicato da Panini Comics ed Image Comics.
La sensazione che lascia è quindi contrastante.
Sa di casa, sa di fantasy, sa di avvincente, ma sicuramente non di nuovo. Le riflessioni all’interno di Nomen Omen non sono mature. Tutto è scandito dal conflitto dei personaggi, generando all’inizio una continua diffidenza gli uni gli altri, che tira sì avanti la storia in maniera dinamica e spettacolare, ma a volte tira anche un po’ il freno a mano. È quello che accade spesso nelle opere adatte ad un pubblico molto giovane. Se non fosse per un piccolo dettaglio.
Where’s Willy?
Il nudo integrale.
C’è e fa organicamente parte di tutta la saga di Nomen Omen. È davvero ovunque. Lo trovate dietro ogni angolo. E questo non è un commento negativo, tutt’altro. Portare il nudo integrale in una storia così semplice come quella di Nomen Omen è una scelta artistica rispettabile che ho molto apprezzato.
Purtroppo nella società moderna ci trasciniamo ancora dietro questi vecchi dettami per cui i corpi umani vanno demonizzati e coperti. Ebbene, tutti abbiamo un inguine. Tutti abbiamo un corpo. Scegliere di rappresentarlo in un genere diverso dall’erotico è finalmente un passo avanti nel mondo dei fumetti.
Probabilmente a causa di ciò, il pubblico consigliato è young adult, ma in verità è una storia che andrebbe divulgata a qualsiasi teenager, senza distinzione. Non abbiamo rappresentazioni crude o volgari, solo rappresentazioni. Nessuna scena che andrebbe davvero nascosta o negata ad un pubblico che si affaccia alla pubertà. Anzi personalmente trovo che sia il modo più giusto per cominciare ad introdurre un argomento delicato come quello dell’accetazione del proprio corpo e della propria sessualità.
Attraverso gli occhi di Becky.
Il fumetto è a colori. All’inizio.
Dopo il flash forward, quando cominciamo a seguire Becky, diventa un’opera in bianco e nero, richiamando la sua acromatopsia. Dettaglio meraviglioso che aiuta a sottolineare la magia lungo tutto lo svolgimento della storia. Sì, perché la magia all’interno di Nomen Omen è l’unica cosa che abbia un colore per Becky. Espediente meraviglioso che rende ogni tavola interessante e degna di un’attenzione in più, in cerca non solo delle citazioni suddette, ma anche dei piccoli elementi di colore nascosti qua e là.
Lo stile di Camagni e questo espediente dell’acromatopsia sono in grado di estasiarci e stupirci come bambini. I disegni sono bellissimi e i dettagli all’interno sono tanti, anche nella scelta di rappresentare peli e capezzoli (finalmente), nonostante il tratto molto pulito e morbido.
Il lavoro per renderlo visivamente tanto bello e appagante si divide tra diverse persone. Scelta che caratterizza ancora maggiormente l’intera opera, la quale gode di un responsabile delle sequenze oniriche, ossia Fabio Mancini. Ai colori invece, oltre che Camagni, sono di supporto anche Fabiola Ienne e Claudio Lucania.
Che dire? Graficamente nulla è lasciato al caso. Complimenti a tutti coloro che ci hanno lavorato.
Conclusioni.
Non c’è molto altro da dire. La saga di Bucci e Camagni è veramente un momento per immergersi in altro, per lasciare tutto il mondo fuori e dedicarsi all’ucronia di Arcadia. Ci sono così tante cose da notare e da considerare, che è davvero un piacere dedicargli più tempo di quello necessario alla mera lettura.
Grande nota di merito per l’unione eccellente tra il mondo tecnologico e quello magico, simbolizzato anche dal fatto che lo smartphone di Becky sembri più il suo scettro magico che il suo telefono.
Un’opera che può generare un mondo intero e che può, negli anni, sperare di arrivare ad avere una narrazione propria sempre più distintiva, diventando un fumetto da citare più che un’enciclopedia di citazioni.