Unexplored è la parola inglese che, intuitivamente, significa “inesplorato”, e “inesplorato” è il concetto su cui da molto tempo si basa un enorme numero di videogiochi. Questo pensiero è fatto per essere letto da chiunque non come la sola definizione di un luogo dove nessuno mai ha messo piede, o del quale non esiste alcuna mappa precisa, ma per essere colto come una sfida, una battaglia contro qualcosa di cui non possiamo avere idea fin quando non ci troviamo a fronteggiarlo. Un titolo come questo, evocativo e impegnato se letto nella maniera giusta, però deve essere supportato da un gioco all’altezza. Riuscirà il progetto di Ludomotion a mantenere le promesse che volente o nolente ha fatto già prestando la sua “copertina” ad un primo sguardo? Ecco cosa ne pensiamo.
Unexplored: la locanda delle promesse e degli oneri
La storia proposta in Unexplored è semplice, classica ma sempre di un certo impatto e capace di ispirare: il nostro personaggio, di cui potremo scegliere nome e classe, recandosi in una locanda, verrà informato dell’esistenza di un profondo sotterraneo ricco di inimmaginabili tesori e, come ogni avventuriero degno di tale nome partirà immediatamente per riempirsi le tasche d’oro e fare echeggiare il suo nome nella leggenda. A questo punto, dopo una breve caratterizzazione del personaggio, comincia il vero percorso attraverso gli inesplorati sotterranei. Già dunque dopo questa breve introduzione, per quanto semplice, ad un mondo fantasy chiunque potrebbe già pregustare il piacere di creare una storia veramente nostra, dettata solamente dal nostro reale valore e perciò personalissima; a mio parere un’idea deliziosa e un’atmosfera perfetta per buttarci a capofitto in una nuova esperienza videoludica.
Non sono permesse frecce nel ginocchio
Il Gameplay del titolo è probabilmente il suo principale punto di forza: una miscela riuscita ed esplosiva di generi che si amalgamano perfettamente come il Roguelike e li GDR, uniti sotto i vessilli del più classico dei Dungeon Crawler. Per compiere un viaggio redditizio e sereno dunque dovremo scendere nei sotterranei armati di una certa abilità nel rapportarci al divertente sistema di combattimento e di una adeguata malizia strategica, necessaria per impostare il nostro personaggio attraverso una classe e conseguenti set di armamento e corazza in modo da renderli più performanti possibile e in linea col nostro stile di gioco.
Punto di arrivo di un’ottima fusione di generi, come già detto, il gioco si incentra principalmente sulla tematica dell’esplorazione: le ambientazioni create proceduralmente dal computer infatti appariranno illustrate in maniera stilizzata in una minimappa che appare in alto a sinistra sullo schermo e, rapportandoci con questa, il nostro compito sarà trovare una via per procedere nei territori mai calpestati e dissacrare il nome del gioco sempre più profondamente, rendendo “quell’inesplorato” solo un vetusto ricordo.
Quel che conta è la vittoria
Per quanto riguarda il comparto tecnico, il gioco si presta a girare in maniera performante su qualunque computer, senza subire il minimo calo di frame rate o più in generale senza alcun tipo di problema, e questo è di sicuro un pregio, viste le poche pretenziose richieste avanzate dal comparto grafico nel suo complesso. Quest’ultimo si caratterizza per delle scelte artistiche azzeccate e congeniali al titolo e a ciò che vuole significare nel panorama videoludico: ambienti e modelli dei personaggi sono minimalisti e volutamente poco dettagliati e, se riguardo questi ultimi ci si può trovare o meno d’accordo con la linea adottata, per quanto concerne i primi ad un’osservazione attenta è possibile riflettere sul fatto che questa così spiccata carenza di cura distoglie l’attenzione dall’ambiente esplorato, ponendola su quella che è la quintessenza stessa del procedimento esplorativo: il gioco non vuole farci scoprire un luogo meraviglioso per fermarci a godere della sua bellezza, ma per farcene esplorare subito un altro successivamente, ponendo come prossimo obiettivo del nostro viaggio il passo che ancora non abbiamo compiuto.
La tavolozza dei colori proposti da Unexplored presenta sfumature delicate e del tutto non impattanti, in modo da riposare la vista regalandole il piacere del colpo d’occhio solo con un immaginario contagocce, sia per non creare, come si diceva poc’anzi, la sensazione di potersi permettere una pausa contemplativa, sia per nutrire il sentimento che ci spinge a cercare qualcosa di ancora più bello davanti ad uno scenario già di per sé più che soddisfacente.
Una nota di merito va ai controlli che fluidi, intuitivi e funzionali rendono l’esperienza soddisfacente anche dal punto di vista della sfida, soprattutto perché trattandosi anche di un roguelike, una certa abilità è pur sempre richiesta, e facilitare le fasi di combattimento con un sistema di input ottimale è quanto di più gratificante si possa regalare in fase di sviluppo ad un utente.
In conclusione, Unexplored è un titolo che si mostra in due facce: la prima è quella di un gioco divertente e assolutamente prete-a-porter, pronto a regalare prolungate sessioni di gioco come anche brevi “mordi e fuggi”, grazie al suo gameplay accattivante e capace di dare addirittura assuefazione per molti tipi di videogiocatori, dagli amanti degli RPG a quelli del roguelike. La seconda veste in cui si presenta è quella di un progetto cosciente, profondo e pensato coerentemente in ogni suo aspetto, degno di essere considerato un esperimento che profuma di punto d’arrivo della fusione multi genere.
Qualunque faccia si decida di guardare però, Unexplored resta ciò che è: un indie coraggioso che, se Giustizia esiste a questo mondo, verrà ricordato per un po’ di tempo, e il cui archetipo sarà tenuto molto presente per il futuro prossimo di molti aspetti dell’industria del videogioco.