Siamo qui riuniti per sancire il ritorno di un’opera che nell’ormai lontano 1999 riuscì a rivoluzionare un intero genere videoludico! Outcast è infatti tornato sulle nostre console sotto forma di remake chiamato Outcast: Second Contact.
Sebbene questo ritorno sia una manna dal cielo per tutti coloro che ebbero la fortuna di giocare al titolo originale, la resa di questo remake firmato Appeal e Bigben Interactive potrebbe risultare particolarmente carente in diversi punti, sia per i neofiti, sia per gli amici di lunga data. Essendo passati ben diciotto anni mi sarei aspettato un prodotto che avesse un po’ più di tono e dinamicità, cose di cui purtroppo il titolo è carente. Non fraintendete le mie parole però! Ho trovato Outcast: Second Contact molto interessante e avvincente sebbene i difetti riscontrati durante la mia esperienza. Ma andiamo a vedere il tutto nel dettaglio.
Salvare un mondo…per salvare il proprio
Outcast: Second Contact è un remake fedele al suo prodotto originale, in quanto mantiene pressoché immutata la sua complessa ed articolata struttura narrativa, che sarà uno dei punti di forza del gioco stesso. Ci ritroviamo nei panni di un veterano militare chiamato Cutter Slade, che si ritrova costretto a rientrare in servizio per la salvaguardia della sicurezza globale. Sembrerebbe infatti che una sonda interdimensionale, dedita all’esplorazione di un nuovo e misterioso mondo, sia stata danneggiata dalla popolazione indigena e a causa di ciò sulla Terra si è generato un buco nero in continua espansione. C’è un solo modo per fermare l’Apocalisse, ovvero entrare nell’altra dimensione e riparare la sonda che al momento si trova in bilico tra le due realtà.
Cutter ha un solo e semplice compito: scortare i due scienziati responsabili della crisi nel nuovo mondo, poiché sono gli unici in grado di riparare il sofisticato marchingegno. Ma le cose non vanno come previsto…affatto. I talan, popolazione dell’altro mondo (noto come Adelpha) dalle strane usanze e fattezze, vedono nell’arrivo del militare l’avverarsi di una profezia. Cutter verrà preso per un messaggero degli Yod (divinità indigene) chiamato Ulukai e dedito alla liberazione del pianeta dalla tirannia di Fae Rhan, dispotico ed autoeletto sovrano di Adelpha. Separato dai suoi colleghi e senza alcuna attrezzatura, se non la sua fedele pistola, l’Ulukai si ritroverà costretto ad un accordo di reciproco aiuto con la ribellione. L’Ulukai dovrà salvare Adelpha per poter trovare la sonda e gli scienziati dispersi al fine di salvare la Terra, divenendo un vero e proprio eroe dei due mondi, come una sorta di Garibaldi interdimensionale.
Una trama che ricorda in maniera molto blanda un film cult degli anni ’90 quale Stargate, una tendenza del periodo in cui l’Outcast originale era ancora in fase embrionale e che ha influenzato per ovvi motivi il genere sci-fi dell’epoca.
La narrazione della vicenda potrebbe risultare ai più lenta, ma questo non deve essere visto come un ostacolo, in quanto questa tipologia narrativa è assolutamente necessaria ai fini di quello che risulta essere un gameplay molto “old school”, e vado subito a spiegarvi quel che intendo.
Un gioco old school complesso ed intrigante… ma legnoso!
Outcast: Second Contact è un open world diviso in molteplici zone, tutte esplorabili nei minimi dettagli, con una possibilità di interazione eccezionale. Cutter, infatti, non dovrà seguire nessun tipo di indicatore per avanzare nella trama, ma dovrà esplorare, ottenere informazioni dagli abitanti, indagare, trovare oggetti al fine di poter trovare un tale talan (se ve lo stesse chiedendo…il gioco di parole è voluto) e tanto altro ancora. Insomma…WOW!
Ecco quello che intendo per gameplay “old school”! Il giocatore non si limiterà a seguire semplicemente una frecce in una minimappa, ma dovrà capire dove andare, a chi rivolgersi, ma soprattutto costruirsi una vera e propria mappa mentale di quello che è Adelpha. Un’immersione unica che a tratti potrebbe risultare lenta, ma che mi ha riportato a tempi in cui per attivare le missioni si doveva attivare anche il giocatore.
Mantenendo identico il comparto narrativo, e di conseguenza l’incredibile interagibilità con il mondo circostante, si sono raggiunti risultati pressoché ottimi, ma non si può dire lo stesso dell’aver mantenuto anche le stesse meccaniche di gameplay. Sembra di avere ancora a che fare con meccaniche e comandi legnosi vecchi di ormai quasi vent’anni, il che è davvero un peccato poiché questo dettaglio influisce negativamente sulla bellezza del gioco in sé.
Manovrare Cutter risulta essere particolarmente complesso e macchinoso, portando il giocatore a maledirlo più volte durante concitate fasi di gioco, soprattutto nelle fasi di shooting. Sparare in Outcast: Second Contact è un’esperienza che rasenta il ridicolo, utilizzando sia la mira automatica che la mira manuale. La mira automatica è una vera è propria burlona, che a seconda di un parametro non bene identificato decide se puntare o meno il bersaglio facendo sprecare tonnellate di prezioso piombo; se, stufi di essere presi in giro dalla suddetta burlona, deciderete di passare alla mira manuale, beh… non posso che farvi gli auguri! Occorrerebbe essere dei veri e propri cecchini per utilizzare questa opzione. Aggiungete al cocktail una buona dose di legnosità nello schivare, un pizzico di telecamera impazzita ed imprecazioni a profusione ed ecco a voi una sparatoria in Outcast: Second Contact!
Ma la violenza potrà essere evitata grazie alle doti furtive del nostro Cutter… forse (?). Sebbene questa sia una possibilità all’interno del gioco, risulterà principalmente inservibile ed inutile a meno che non si disponga di particolari attrezzature tecnologiche stealth. Davvero un peccato considerando l’enorme potenzialità del gioco. A ripensarci, forse, il gameplay è rimasto fin troppo old school…
In bilico tra l’apprezzabile ed il grottesco
Rivedere Outcast sotto una nuova luce mi ha fatto particolarmente piacere, ma di sicuro non mi ha esaltato. Le ambientazioni risultano essere interessanti, dettagliate ed apprezzabili, cosa che non vale invece per quanto riguarda il design dei talan, fin troppo ripetitivi e approssimativi nella realizzazione che rasenta il grottesco (non per quanto riguarda il loro bizzarro aspetto, ma proprio per la rozzezza dei loro modelli).
Anche il comparto sonoro rasenta il labile confine tra l’apprezzabile ed il grottesco, in quanto la colonna sonora risulta essere tuttora intrigante, al contrario della qualità del doppiaggio che si trova al di sotto della qualità media ormai raggiunta in ambito videoludico. Un remake che, pur migliorando molto il comparto tecnico, poteva puntare a ben più alte vette.
Conclusioni
Non tutti i remake possono essere del calibro della Crash Bandicoot-N.Sane Trilogy, questo è poco ma sicuro, ma mi sarei aspettato qualcosa di più esaltante dal ritorno di Outcast: Second Contact, che non riesce, di nuovo oserei dire, a risplendere per quello che è in ambito videloudico: un piccolo diamante grezzo che pochi sono riusciti a trovare. Era l’occasione giusta per dare un po’ di tono al titolo, ma non è stata giocata al massimo delle possibilità.
Se siete amanti del genere sci-fi e dell’esplorazione e siete disposti a lottare un po’ con la sua legnosità, Outcast: Second Contact fa proprio per voi. Nonostante tutto Adelpha è rimasto un luogo fantastico dove perdersi per diverse ore, ve lo garantisco.
Vi ricordiamo infine che Outcast: Second Contact è disponibile già dal 14 novembre 2017 su PC (via Steam), Playstation 4 e Xbox One, sia in copia fisica che digitale.
*Versione testata: PlayStation 4 grazie al codice digitale fornito dal distributore italiano.