Inked è una cosa strana.
È come quando al liceo invece di ascoltare la lezione frontale decidi di disegnare qualcosa: ti senti ispirato, ti piace da morire e sei fiero di ogni tratto, ogni ombreggiatura fatta con una penna che dovrebbe essere lì per prendere appunti, non per sfumare, e infatti si vede. Quando finisci il tuo disegno alla fine dell’ora, sei soddisfatto. Poi però lo guardi più dall’alto, e riconosci tutti i difetti della tua mano: le gambe sono stecchini, gli occhi sono troppo grandi, manca la proporzione naso-orecchie.
Inked, di cui parliamo oggi è la bellezza del creare un disegno e il tormento di non vederlo perfetto.
Sviluppato da Somnium Games e pubblicato da Starbreeze Publishing AB, Inked mostra sin dalle prime battute una particolare natura scissa a metà: la narrazione ci introduce subito in un mondo disegnato a mano, dove l’atmosfera delicata e calma suggerita dai dolci tratti di una penna mai troppo calcata è esaltata dalla presenza del nostro primo protagonista. Si tratta di un samurai, sempre disegnato, che stanco del suo essere guerriero si ferma sulle rive erbose di un lago e getta via la sua spada per dedicarsi alla pace dello spirito. Qui incontra presto una ragazza, che incurante del suo aspetto immobile e della sua eleganza marziale comincia a giocare con lui, scherzando col suo cappello e costringendolo ad inseguirla fino sotto un albero durante un temporale. In questa frazione la ragazza si dimostra subito essere il motore della vicenda, capace di indirizzare gli equilibri di tutta l’avventura.
A sorpresa però viene introdotto un’altro personaggio: se il samurai è di fatto un disegno, appare rompendo la pacata parete della narrazione, il disegnatore. Questi, che si mostra inizialmente a noi tramite una visuale in prima persona (vediamo solo le sue mani, e ciò che egli direttamente vede intorno a sé) è un elemento di stacco enorme dalle atmosfere proposte fin’ora, e lo sarà per gran parte dell’esperienza. Impulsivo, infantile e iroso, il disegnatore arriva ad accusare il suo stesso disegno di tradimento: chi vuole un samurai senza spada dedito alla spiritualità quando può avere un tamarrissimo guerriero armato fino ai denti?
Se le parti in cui ci troviamo ad avere a che fare con il samurai sono quiete e introspettive, quando il disegnatore irrompe sulla scena porta con sè un enorme carico di ansie, problemi terribilmente umani e la negatività propria di chi è vittima e carnefice di se stesso allo stesso tempo.
La dualità delle due componenti del gioco è palpabile anche all’analisi del comparto artistico: i colori pastello e i tratti delicati Delle parti caratterizzate all’interno dei disegni, che suggeriscono un determinato tipo di esperienza si scontrano volutamente e con forza con le ambientazioni 3d in cui si trova il disegnatore: più cupe, confusionarie e sporche e definite da un comparto grafico ruvido e grossolano, in grado di colpire veramente molto un occhio che si vuole abituare a qualcosa di più tranquillo. Si tratta di un esempio chiaro in cui il “brutto” è funzionale, e quindi, sebbene appunto “brutto”, sinonimo di una cura artistica che è capace di trascendere i canoni estetici che uno sviluppatore potrebbe noncurante imporsi da solo.
Dal punto di vista del supporto tecnico invece, a fronte di una solidità più che buona del frame rate, specie nelle parti disegnate, e di una cura scarsa per poligoni e animazioni nelle parti in 3d, Inked si mostra pensato più per l’esperienza tramite pad di gioco piuttosto che con la classica tastiera, la quale rischierebbe di limitare le potenzialità di movimento dei personaggi.
Il comparto sonoro propone una soundtrack piacevole e calzante quando vivremo le avventure del nostro samurai, ed un doppiaggio soddisfacente quando invece ci troveremo catapultati nella vita del disegnatore con annesse problematiche.
Concludendo, Inked, capace di incuriosire sin dal primo approccio il giocatore, si dimostra essere in ultima analisi un progetto più che interessante, forte di un’amalgama di componenti di per sé ottime, e che stridono tra loro in un concerto di cacofonie che lascerà forse qualcuno insoddisfatto. Si tratta però sempre di un concerto, e se in due non saranno in grado di apprezzare, in quattro troveranno invece il prodotto illuminante e visionario. Avranno ragione gli ultimi.