Ci sono videogiochi che hanno un fascino strano.
Succede a volte nel panorama videoludico che venga presentato un nuovo titolo che cattura l’attenzione di chi guarda, senza che questi riesca davvero a capire per quale motivo ciò avvenga. Poche immagini, nessun particolare alto, eppure ci ammalia.
Sono rari titoli in grado di parlare senza in realtà alcuna voce, e Eternity: The Last Unicorn è uno di questi.
Sviluppato da Void Studios, il titolo che ci ha catturato oggi non è semplicissimo da inquadrare, e ancora meno da capire.
La narrazione che propone tramite un impianto pacato e conciliante è quella tipica di un dark fantasy, nel quale i giocatori scendono nei panni di Aurehen, una giovane elfa che combatte per salvare l’ultimo rimasto dei quattro unicorni che, donati al suo popolo da una dea, ne avevano garantito l’immortalità. Al momento dell’inizio della storia però tre unicorni sono scomparsi, e l’ultimo è afflitto da una maledizione che ha portato addirittura a spezzare il suo corno.
L’elfa dovrà dunque affrettarsi a percorrere la strada irta di nemici che gli dei hanno disegnato per lei, purificare l’ultima delle creature sacre e salvare la sua gente dalla morte e il suo mondo dall’avvento delle tenebre della stregoneria.
Eternity: The Last Unicorn sembra un titolo arrivato da un’altra epoca, e questo non è di per sé un lato negativo: le sue idee e le sue linee guida ricalcano quelle di produzioni davvero classiche del genere fantasy, dotando tutta la produzione di una piacevole atmosfera vintage di “salto nel passato”.
Il gameplay è solo il primo degli elementi in cui questa cosa si manifesta.
Void Studios propone una formula di avventura Action, con una piccola componente rpg legata più ad una gestione dell’overlook delle statistiche del nostro personaggio piuttosto che ad una vera e propria creazione della sua build
Muovendoci per le aree di gioco di una varietà soddisfacente, esplorabili attraverso una telecamera fissa davvero in vecchio stile, dovremo col nostro avatar proseguire su un percorso disseminato di ostacoli, vie chiuse e aree segrete del tutto soddisfacente dal punto di vista di level design e meccaniche esplorative. La costellazione di bossfight in cui ci imbatteremo e il fisiologico bisogno di un po’ di sano backtracking vanno a confezionare un prodotto che offre davvero un’ottima cornice nella quale inserire un’avventura degna di essere vissuta
I principali difetti che invece presenta il titolo diventano evidenti entrando un po’ di più nel merito della faccenda soprattutto sul versante tecnico della produzione.
Nonostante infatti il percorso di sviluppo del gioco affondi in un passato ormai remoto (al suo primo annuncio il periodo di uscita del prodotto era fissato per il 2017), quello che la produzione offre dal punto di vista tecnico è quantomeno raffazzonato, impreciso e oltremaniera grezzo. Se dal lato visivo i poligoni sono a dir poco semplicistici e le espressività dei personaggi tra l’inesistente e il parodistico, le animazioni di combattimento e movimento dei due personaggi giocabili sono a loro volta assolutamente anacronistici per la generazione videoludica che viviamo: legate e legnose, le interazioni dei protagonisti con nemici e ambiente circostante sono davvero difficili da non notare, e rischiano di inficiare complessivamente su un lavoro che, facendo probabilmente di necessità virtù, punta con decisione su altri aspetti per definirsi soddisfacente da vivere.
Anche per quanto riguarda le fasi di combattimento il comparto tecnico fa pesare tutte le sue carenze: le animazioni che accompagnano gli affondi nemici sono ben poco intelleggibili, e spesso capita che anche non portandole questi ultimi a termine, il danno degli attacchi venga calcolato ugualmente a nostre spese, creando situazioni di confusione poco simpatiche, che vanno ad aggravarsi se sommate alla ristrettezza degli spazi di molte zone di combattimento e alla conseguente problematica del sovraffollamento di nemici
Le hitbox degli avversari è un’altra componente “misteriosa”: rese a schermo in maniera poco chiara, queste sono caratterizzate da un’imprecisione di fondo e da una totale imprevedibilità non consone a quello che vuole comunque essere un Action RPG che fa della feature dei combattimenti un punto nevralgico del suo gameplay.
Nonostante quelle che sono comunque delle carenze evidenti sul lato tecnico, Eternity:The Last Unicorn riesce comunque a sprigionare un carisma strano, dal quale sono personalmente stato colpito, e che riesce a edificare su questi indiscutibili difetti un atmosfera quasi vintage, godibile perché totalmente estranea alle logiche della proposta odierna del genere GDR.
Parlando del comparto audio, il titolo si scinde totalmente in due parti. Una prima legata ai suoni ambientali, onestamente insoddisfacente, con effetti sonori obsoleti, incolori e talvolta addirittura risibili. In questa parte è da evidenziare l’assenza del doppiaggio che pone a fronte di una mancanza di localizzazione italiana il giocatore davanti a semplici testi in lingua inglese (scritti in maniera comunque non eccellente).
La seconda parte che compone l’apparato sonoro è invece diametralmente opposta: la colonna sonora di Eternity: The Last Unicorn è di ottima fattura, è sebbene non sia particolarmente elaborata, riesce perfettamente ad accompagnare l’utente nei suoi viaggi ed esaltare tanto le quiete ambientazioni quanto i concitati combattimenti.
Un elemento lato ottimamente sfruttato dl titolo solo le ambientazioni: le varie mappe infatti si intersecano tra loro in maniera sottile e studiata, regalando così il piacere dell’esplorazione di un mondo che, via via che si prosegue nella storia, offre sempre strade nuove, shortcut per aree già visitate e nuove chiavi di visione per i luoghi che ormai conosciamo.
In conclusione, Eternity The Last Unicorn è un titolo che si dimostra difficile da valutare solo tramite l’espediente del voto: tecnicamente assolutamente anacronistico, il prodotto di Void Studios riesce comunque a creare un’atmosfera fascinosa e capace di irretire chi presterà attenzione. Si tratta di un’opera da leggere in chiave vintage per apprezzarne appieno i punti di forza che, tra colonna sonora originale, gameplay divertente, ambientazioni profonde e ben interconnesse, non hanno problemi ad imporsi per andare a dare l’immagine complessiva di un videogioco comunque meritevole di promozione.
C’era un’era i cui le produzioni videoludiche non venivano messe in croce per il solo lato tecnico, quando i videogiocatori avevano forse la pancia un po’ più vuota ma gli occhi più attenti per cogliere i messaggi e apprezzare i punti di forza che caratterizzavano un’opera.
Si tratta forse di un’era antecedente a quella dei vichinghi, degli elfi e delle fate, ma chissà che il nostro salvataggio dell’ultimo unicorno possa portare anche oggi, nel 2019, una scintilla della consapevolezza che allora c’era e che oggi davvero manca.
*Versione testata: PS4, grazie al codice digitale fornito dal publisher